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Distrofia corneale

Con il termine distrofia corneale s’intende un gruppo assai eterogeneo (soprattutto per la prognosi funzionale, che varia dagli effetti minimi sulla capacità visiva fino alla cecità) di malattie non infiammatorie, in genere bilaterali, simmetriche e lentamente progressive, su base genetica (ereditaria), che colpiscono i vari strati della cornea, senza associarsi a lesioni di altri organi o a sintomatologia sistemica o a fattori ambientali.
Nonostante la sua imprecisione, tale definizione, eminentemente clinica, continua ad essere utilizzata in mancanza di sostituti adeguati. Inserite da sempre nella categoria delle “malattie rare”, la prevalenza delle distrofie corneali è variabile e poco conosciuta, verosimilmente a causa della mancanza di report, catalogazioni e registri adeguati.
La classificazione classica si basa sulla sede anatomica (lo strato corneale) interessata all’anomalia e distingue tre gruppi di distrofie corneali:

  • anteriori, che colpiscono l’epitelio, la sua membrana basale o lo strato di Bowman e lo stroma corneale superficiale. Tendono a presentarsi con erosioni ricorrenti della superficie;
  • intermedie, che interessano lo stroma;
  • posteriori, che colpiscono la membrana di Descemet e l’endotelio corneale. Le distrofie stromali e posteriori si manifestano con offuscamenti visivi.


In caso di erosioni ripetute e/o perdita di trasparenza della cornea, spontanee e bilaterali, in età giovanile (sotto i 20 anni) e qualora siano presenti altri casi in famiglia, la diagnosi è eminentemente clinica e si basa sull’età giovanile di esordio e sull’aspetto biomicroscopico della cornea (lampada a fessura).
In caso di terapia sostitutiva (trapianto di cornea), l’esame istologico (mediante microscopia ottica e/o elettronica a trasmissione) del tessuto corneale è in grado di sottotipizzare la distrofia specifica.